Manlio Guberti – INTERVISTA a Faustina Janner Steffan

Nei giorni della mostra Manlio. Viaggio nella memoria, fra le tante persone che abbiamo avuto il piacere di conoscere, c’è la signora Faustina. Figlia della compagna di Manlio Guberti, dalla Svizzera a Roma per visitare l’esposizione. Ed onorare il ricordo del pittore nell’evento-centenario della sua nascita, che abbiamo organizzato con il Patrocinio del Comune di Roma. Non potevamo non rivolgerle qualche domanda per scoprire più in profondità la personalità dell’eclettico artista.

di Annalisa Perriello  

M: Quanti anni aveva quando ha conosciuto Manlio Guberti Helfrich?

F: Manlio era stato grande amico di mio padre, l’ho conosciuto che ero una bambina.

Negli anni ’50, quando avevo meno di dieci anni, andavamo ogni anno in vacanza sul Gargano. La Baia di Sfinale in quegli anni era incontaminata e selvaggia. Spiagge deserte che ancora non conoscevano alberghi nè costruzioni, regno di tartarughe che vivevano fra i gigli selvatici. Quando uscivamo in mare per 3-4 giorni dormivamo in barca. Altrimenti spesso dormivamo sulla spiaggia e la sera Manlio andava dai contadini a prendere un po’ di pane, pomodori, formaggio e vino moscato…mi ricordo bene perché io ero piccolina e bevevo moscato!

Manlio era apprezzato dalla gente del posto: mi ricordo che quando andavamo di notte a fare i giri al largo e ci tuffavamo nelle acque del Gargano, i contadini ci osservavano da lontano sulla terra-ferma per assicurarsi che non ci accadesse nulla. E poi c’era chi amava Manlio per la sua arte e la sua personalità; come l’insegnante Nicola Pupillo e sua moglie Nicoletta, divenuti amici molto cari, che possedevano alcune opere tra le più belle di Manlio.

Periodo Pugliese – “Mattina sul mare” – 1959

M: Che ricordo ha di Manlio Guberti?

F: Ho avuto un legame particolare con Manlio: una vera e propria empatia… una profondità ed una sensibilità caratteriale ci accomunavano. Mi ripeteva sempre che dovevo fare la pittrice. Mi permetteva di rimanere ore ed ore nel suo studio ed ero l’unica privilegiata: sulla porta vi era il monito che nessuno poteva oltrepassare, pena una sparatoria! Questo legame mi metteva spesso a disagio nei confronti di mio padre.

Manlio era un personaggio concentrato su stesso: aveva bisogno di avere il controllo e spesso non era facile interagire con lui, soprattutto per me che ero una bambina…anche se a volte riuscivo ad impormi anch’io!

M: Testimonianze più che dirette…

F: E’ stato bellissimo veder l’amore tra Manlio e mia madre. All’inizio quando ero piccina abitavano a Porta Pinciana, poi si trasferirono a Grottarossa sulla Flaminia, in una casa di contadini che a me piaceva moltissimo e dove ricordo che io e mia sorella aiutavamo spesso Manlio a preparare le tele con la sabbia e la colla bianca. In seguito, quando ero già grande, si trasferirono nella casa di Monte d’Arca, dove Manlio aveva concepito i vetri colorati alle finestre per creare atmosfere diverse nei diversi ambienti e durante le diverse fasi della giornata. Manlio aveva anche costruito delle arpe eolie, che sono degli strumenti cordofoni ad aria, utilizzando tubi in legno e corde. Queste “arpe” erano sospese davanti casa suonando grazie al vento che soffiava. Ne aveva regalata una anche a me, che ancora conservo.

Manlio amava la musica. Quando  suonava il pianoforte, intorno a sé doveva esserci estremo silenzio; come dicevamo prima non aveva un carattere facile, ma era incredibilmente generoso. Era molto duro prima di tutto con se stesso e sempre alla ricerca di nuovi mezzi e forme di espressione. Sia nello studio di Monte d’Arca che di Grottarossa, campeggiava la frase in latino Per aspera ad astra (“Attraverso le asperità sino alle stelle”). Credo che questa frase lo caratterizzasse molto. Leggevo nei suoi occhi e nei suoi gesti una sorta di nostalgia e in qualche modo questo mi ha avvicinato ulteriormente a lui. Qualcosa ci accomunava: eravamo  entrambi affamati di conoscenza (arte, poesia, diritto, fisica…). Mi chiamava la “selvaggia” e quasi sempre non c’era bisogno di parlare molto perché ci intendevamo al volo.

M: Ha più incontrato Manlio Guberti negli ultimi anni di vita?

F: Da adulta, con marito e figli, ho continuato ad andare a Monte d’Arca: era allo stesso tempo un piacere ed una sorta di “dovere”. Dopo la morte di mia madre nel 1996, per vari motivi personali non ci frequentavamo più spesso, ma l’ho visto prima di morire. Per Manlio fu molto dura sopportare la malattia di mia madre; avevano reciprocamente l’uno bisogno dell’altro: si erano costruiti una vita come volevano loro, si erano rifugiati nella campagna romana e pian piano avevano ridotto i contatti con il mondo esterno. A Monte d’Arca, intorno alla casa, possedevano un terreno di 23 ettari che li isolava proprio dal mondo. Durante questi anni, Manlio si riavvicinò ancora più  profondamente a sua figlia Adriana e questo mi rese felice.

 

di Annalisa Perriello