Il vissuto sostanziale di Fabio Cicuto – l’analisi di Gianluca Carchia

di Gianluca Carchia, storico dell’Arte, critico e curatore

“Le mie opere cercano di materializzare un ‘deja vu’, una sorta di emozione inaspettata, una realtà poetica come la visione di un innamoramento. Come se tutto fosse già successo ma dovesse ancora accadere e anche l’ultima goccia di catrame va ad inserirsi nel posto giusto” – Fabio Cicuto

Nelle opere essenziali di Fabio Cicuto la pittura è un ponte diretto verso le strade della psiche. Cicuto guarda alla storia dell’arte con l’occhio di chi sa dove andare a cercare il proprio Pantheon per poi esprimere i propri contenuti.

Fabio Cicuto Memories

Fabio Cicuto, Memories

Pop Art piuttosto che Informale, Cicuto utilizza la macchia per evocare piuttosto che rappresentare. Se dalla prima si distanzia per la non centralità del sociale nella sua arte, alla seconda si avvicina con la matericità del gesto espressivo. Realizza opere dove la forma è illimitata e la sostanza è circostanziata.

Memories è un condensato di incontri e di vissuto. L’artista, con le sue tele, ci porta nella sala di uno psicoanalista dove coglie le difficoltà del vissuto contemporaneo. Il quale viene rappresentato con una striscia densa di nero catrame su una tela bianca. Ma tutto, come in questo caso i processi comportamentali, è variabile e destinato a cambiare forma.

Le linee di catrame, infatti, non sono omogenee bensì lacerate e quindi interrotte da luoghi bianchi. Anima e suo vissuto si alternano quindi con una costanza euritmica e lineare. Bianco e nero, anima e sua vita, questo l’obiettivo di Cicuto: rappresentare cosa esiste nel nostro Es.

Tuttavia, anche il bianco della nostra anima non è puro, anzi. È macchiato da segni e curve che conducono il tutto nuovamente verso quello psicoanalista che sta scandagliando l’Io di un suo paziente. Questi, infatti, dopo aver estratto la linea temporale, passa ad indagare l’intero spettro dell’anima trovando un universo fatto di ricordi, emozioni e suggestioni. Il bianco ritmato della tela appunto, che è la rappresentazione totale dell’anima. Cicuto qui trova tutta la memoria dei ricordi, del loro peso sull’anima dell’uomo e della loro risonanza: il gesto varia a seconda della loro importanza, del loro tempo e del loro spazio. Il tutto appare caotico ma Cicuto, sapientemente, lo conduce alla linea nera che si colloca nella focale dei suoi quadri.

Si tratta quindi di dipinti di relazione, dove la parte generata dal tutto riconduce la lettura su un piano introspettivo. La linea nera catramata dialoga con il bianco solcato infinito della tela per poter insieme raccontare una storia.

Gli anni Sessanta, con le tesi di Barthes e Sarte qui sono rappresentati in modo essenziale. L’esistenzialismo assume forme moderne e la sensazione di nausea e di malessere psichico da Cicuto vengono sintetizzati con una semplice linea nera e con dei segni che ricordano le opere romane di Cy Twombly.

Ma Cicuto attraversa la storia dell’arte del Novecento giungendo fino all’Informale di Fautrier e Wols. Da questi, al di là del gesto materico, Cicuto osserva rigorosamente un linguaggio che ha ambiguità e una pluralità infinita di significati. L’arte psicologica di Cicuto risiede proprio qui in quanto egli ha la capacità di rappresentare l’intero spettro di una indagine psicologica, il tutto, come si vede, con l’ausilio della storia dell’arte. Uno sguardo totale che vede scomodare anche la Scuola di Piazza del Popolo, come Schifano ad esempio, anche se questo era più legato al concetto consumistico della società. Cicuto va oltre, anzi, sceglie un’altra strada, ossia quella della introspezione psicologica per raccontare la processualità di un’anima attiva, vivente e che ora ha necessità di essere analizzata criticamente.

Fabio Cicuto, RoseFabio Cicuto, Rose

Giocando con il figurativo, seppur mantenendo una linea di astrazione, i suoi dipinti hanno come soggetto la maschera di Batman piuttosto che la silhouette dei volatili di Kounellis. Le sue rose si distaccano da quelle pop di Warhol e da quelle poveriste di Kounellis, in quanto Cicuto ci restituisce la delicatezza e la fragilità del fiore. Colori forti e acidi si mescolano ad un fondo nero da dove emerge la figura del fiore. Poi, conscio della necessità di trasmettere la vita interna della rosa, Cicuto realizza delle pieghe sulla tela per suggestionare in maniera sinestetica la qualità del fiore.

L’indagine della psiche si fonde con la ricerca pittorica, dove la materia non è mezzo sostanziale ma ausilio formale per poter circoscrivere i ricordi e il loro peso. Il gesto, quindi, va oltre la sua realizzazione come momento espressivo e conduce il fruitore verso la porta dell’anima. I ricordi sono ciò che qualificano il vissuto di un uomo, e il secondo esiste imprescindibilmente dal primo. Anzi, in alcuni casi lo quantifica. Cicuto allora prende per mano l’essenzialità dei ricordi e li conduce nel loro spazio, li quantifica e li soppesa ai fini di regalare la certezza dell’Io.

Un Io a volte travagliato, a volte sconvolto ma sempre umano. Cicuto umanizza e normalizza la necessità di curare la propria anima e lo fa in maniera ragionata. Le sue strisce nere sono semplicemente la razionalizzazione dei ricordi e la loro piena considerazione. Cicuto infine realizza quadri dove i dati psichici, materici e intimi hanno l’obiettivo di regalare momenti di meditazione e di incontro con la propria anima, dove il ricordo (la linea nera) e i suoi prodotti (i segni) sono i protagonisti della sua arte.

Gianluca Carchia

Storico dell’Arte, critico e curatore

Fabio Cicuto, Kwelanga

 

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