DOC Doctor Of Colors, “Cromosfera”

DOC Doctor Of Colors, "Cromosfera"
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Quando
Date(s) - 09/02/2024 - 15/02/2024
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Dove
Medina Roma


Dal 9 al 15 Febbraio 2024, Medina Art Gallery presenta “Cromosfera” mostra personale di DOC Doctor Of Colors, nella gallery di Via Angelo Poliziano 32-34 a Roma, a cura di Gabriele Simongini.

Opening Event: Venerdì 9 Febbraio alle ore 18

DOC Doctor Of Colors

DOC Doctor Of Colors: il concetto di colore e l’amore per l’arte. Il colore è vita.

Ai miei occhi ciò che ha un aspetto vivido richiama la voglia di vivere.

Ma a volte non è facile vedere i colori nella vita.

La vita deve essere vissuta … e vissuta bene, ecco perché i colori ci conciliano con la vita.

Tutto sta a volerli vedere, anche, e specialmente, quando si fa fatica a vederli.

Crearli poi è una cosa davvero speciale, un privilegio a cui non ho voluto rinunciare.

Ho sempre ammirato chi riesce a creare o riprodurre immagini vivide, significative, toccanti, perché queste sono capaci di scuoterti, di far ritornare a galla sentimenti che sono naufragati e sono stati sommersi dai problemi di ogni giorno.

L’arte ha senso solo se scuote… l’artista stesso e chi guarda l’oggetto d’arte. Anche solo con uno sguardo. Tanti che hanno saputo della mia passione mi chiedono come è nata, … quando di preciso ho cominciato. Non saprei indicarlo perché non c’è stato un giorno preciso. Una cosa di cui mi pento è che quel giorno in cui ho avuto il coraggio di poggiare un colore su una tela non sia venuto prima… ho perso tante occasioni.

Ho sempre avuto un timore reverenziale verso l’arte….

…lo stesso che mi ha fatto tenere riservato per alcuni anni, nel mio studio, ciò che producevo. Davvero in pochi le vedevano, e, quando osservavo sguardi insieme compiaciuti e sorpresi, questo mi ha dato più coraggio di continuare. Poi un giorno incontrando un amico esperto d’arte, un gallerista noto, ho avuto la sorpresa più grande: i miei quadri piacevano anche a lui … e ha voluto esporli nella sua galleria d’arte.

Una volta mi ha confessato che non ne poteva più di scattare foto ai visitatori della sua galleria che volevano posare davanti ad una mia grande tela. Tutti i colori hanno dignità, non solo quelli più fulgidi e vivi, ma anche il bianco ed il nero … ed i grigi. A volte hanno senso da soli, a volte esaltano gli altri colori che si sovrappongono. Non ho mai voluto “studiare” la matematica dei colori. L’ “armocromia” è una parola ed un concetto molto di moda oggi. È scienza, senza dubbio. Ma per me può essere anche diventare un “attentato alla creatività”, un’imposizione a quello che l’occhio dovrebbe vedere al di là delle regole cromatiche.

Mi riscopro un po’ rivoluzionario, come sempre!

Da una parte cerco un ordine nella geometria delle cose che dipingo, dall’altra cerco di andare oltre seguendo il mio senso di libertà.

La libertà è ciò a cui tengo di più.

La scelta del nome DOC Doctor Of Colors

Una delle cose per me più difficili è stato scegliere il mio “nome d’arte”, la firma da apporre sulle mie opere. La cosa più facile, il mio nome e cognome, l’ho escluso subito perché conosciuto per via della mia professione. Non volevo assolutamente che si legassero, la mia professione e la mia arte. Il lavoro è una sfera totalmente differente. Alcune professioni non sono solo personali, sono anche condivise con le altre persone con cui sono intrecciate indissolubilmente. Poi sono caduto in uno strano gioco di parole. Ho scelto un acronimo, DOC, con diversi significati e diverse allusioni.

Per un’ironia della sorte, “DOC” ha a che fare con la mia professione, ma in questo caso sta per “Doctor Of Colors”. Mi occupo dei colori e cerco di farli star bene assieme. E questi cercano di far star bene, anche solo per l’attimo dello sguardo, me e chi poggia quello sguardo su una mia opera. La mia arte è innanzitutto mia, ogni opera mi è nata da dentro e questo lo rivendico.

Ciò che vuole trasmettere al suo pubblico…

All’inizio mi disturbava un po’ il pensiero che qualcuno potesse acquisire per sè una mia opera e io perderla. Ora invece mi rallegra il pensiero che qualcuno la voglia per sé, per il piacere di guardarla, e questa scelta mi onora. Uso poco il pennello, se non  per cose basilari, per preparare la base della tela. Per me la tela, classicamente intesa ha un limite: la bi-dimensionalità. Certo gran parte della pittura classica e anche di quella moderna e contemporanea si sviluppa sulle due dimensioni della tela, e quanta bellezza è stata prodotta!

Ma perché non approfittare della terza dimensione. Sia sopraelevando gli oggetti dalla tela o andando oltre i suoi bordi, ma anche sfruttando il retro della tela. È aumentare il godimento dell’arte pittorica; come preferire, al cinema, un film in 3D o preferire il teatro. L’azione è più dinamica e l’osservatore ne è più attratto e maggiormente protagonista. Voglio istigare la mano di chi osserva una mia opera a toccarla, a toccare la plasticità e l’apparente morbidezza degli elementi che la compongono. Di solito non si fa, ma voi fatelo, almeno una volta, con delicatezza e forse ne sarete appagati!

Gli elementi delle mie opere, quei cerchi, quei coni colorati, sono spesso, nella mia immaginazione, singoli individui che partecipano volontariamente all’azione rappresentata nell’opera. Sono interpreti di una scena, di un’azione che si compone o si scompone. E talvolta la composizione o la scomposizione sono lasciati alla libera scelta e alla libera interpretazione di chi guarda. Ognuno deve sentirsi libero di guardare un’opera d’arte con assoluta fantasia, certo, anche conoscendo eventualmente le intenzioni dell’artista, ma, perché no, potendo reinterpretarle secondo la propria personalità ed il proprio stato d’animo.

Libertà!

Ogni elemento rappresentato sulla tela è parte della composizione, come ognuno di noi è parte del proprio mondo, della propria società, della propria famiglia. Ma è un punto dell’insieme, di un’insieme talvolta molto più grande. Eppure senza quel punto qualcosa mancherebbe e l’insieme sarebbe meno perfetto. Proprio come è vero per ciascuno di noi. E ogni punto esprime un proprio essere perché è bello comunque di per sé, ma, essendo colorato diversamente dagli altri punti, è anche unico.

Grazie al colore le mie opere vogliono essere positive, indurre chi le osserva ad un sentimento positivo, a guardare la realtà con ottimismo e non solo con preoccupazione e con angoscia, che pure esistono e sono reali. La positività e l’ottimismo aiutano la vita di tutti i giorni, e i colori la fanno bella.

DOC Doctor Of Colors: una libertà fatta di gioco e rigore, di Gabriele Simongini

“In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto”

Carl Gustav Jung

Quel che colpisce subito guardando le opere di DOC Doctor Of Colors è il senso di sano, gioioso e puro divertimento che le pervade in modi plasticamente ben evidenti. In tal senso DOC non è un pittore nel senso tradizionale del termine ma potremmo definirlo un modellatore e un costruttore, quasi uno scultore del colore. I colori delle sue opere, infatti, sono cristallizzati e costruiti pazientemente con una strategia atomistica (fin dalle prime opere realizzate con i cotton fioc) e portano con sé qualcosa di sottilmente seducente, una sorta di dolce “pasticceria” per lo sguardo che dal punto di vista dei punti di riferimento ha ereditato e trasformato il rigore delle ricerche optical e l’abbacinante impatto di superficie della Pop Art.

Con la sua particolare tecnica mista, di cui preferisce non rivelare i “segreti”, DOC solidifica e trasforma il colore in oggetto plastico, quasi autonomo, sospeso visivamente fra la regolarità modulare e la trasgressione di quella stessa presunta sistematicità, con una sorta di euritmia dinamica.

E, guardando fra le sue opere…

…il tavolino pieno di queste isole di colore che si alternano nella loro parte emergente e in quella che fa da base oppure altre opere in cui spicca la trasparenza luminosa del plexiglass ad espansione oggettuale, viene in mente che il nostro DOC potenzialmente potrebbe riempire tutto il mondo con le sue allegre micro-stratificazioni cromatiche a rilievo, sull’onda delle suggestioni ereditate dalla “ricostruzione futurista dell’universo” di Balla e Depero (“vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’ impercettibile”, scrivevano nel marzo 1915) ma anche degli infiniti pois di Yayoi Kusama.

Vero e proprio homo ludens…

…indifferente, in fondo, all’esito astratto oppure a quello figurativo (nella scelta dei soggetti riaffiora con una certa evidenza l’eredità Pop, con scritte sulla pace e l’amore oppure con volti di icone cinematografiche come Audrey Hepburn, ad esempio), DOC cerca sempre un forte impatto visivo e un ordine compositivo vibrante in cui la molteplicità tende ad un’unità pulsante e pullulante, fatta di costellazioni cromatiche. Il nostro artista mette da parte qualsiasi traccia o impronta a carattere personale/esistenziale, tanto che le sue opere sembrano, in qualche modo, essersi autogenerate come organismi autonomi, apparendo formalmente perfette nel mondo hi-tech in cui siamo immersi ma donandoci un valore aggiunto in termini immaginativi.

Spesso le sue modulazioni di colori…

…gioiosamente terapeutici per la nostra psiche (come suggerisce anche il suo nome d’arte) promanano ondate di energia, aprendosi o serrandosi, aggregandosi o disgregandosi secondo moti di volta in volta centrifughi o centripeti, ad esempio. Questa strategia dà un senso di movimento virtuale alle opere attraverso una vivacità che si giova anche dell’attento equilibrio fra pieni e vuoti. Così si ha anche l’impressione di essere guardati da quella miriade di occhietti colorati che danno vita a mondi visivi sempre sorprendenti, ipnotici, di volta in volta elettrizzanti nelle loro scariche di energia oppure rilassanti e portatori di meditazione come i mandala. E le opere di DOC promanano una freschezza quasi disarmante perché nascono prima di tutto dal senso del gioco, inteso come leggerezza in grado di dissolvere la pesante compattezza del mondo.

Come diceva Alighiero Boetti…

…maestro in questo campo e non solo, “è soltanto questione di conoscere le regole del gioco. Chi non le conosce non vedrà mai l’ordine che regna nelle cose, così come, di fronte ad un cielo stellato, chi non conosce l’ordine delle stelle vedrà solo una confusione, là dove un astronomo avrà, invece, una visione molto chiara delle cose. E’ possibile disordinare l’ordine oppure mettere l’ordine in certi disordini. O ancora: presentare un disordine visivo che fosse invece la rappresentazione di un ordine mentale”. Il concetto stesso di gioco per un artista come DOC è fondamentale perché si sottrae alla “vita ordinaria”, talvolta le si oppone per poi “rimetterla in gioco” in una nuova dimensione: come ha scritto Johan Huizinga, autore della più famosa analisi antropologica sul gioco, esso è “un intermezzo della vita quotidiana, una ricreazione”.

Intrecciando fantasia ed azione ludica…

…DOC materializza davanti ai nostri occhi una dimensione spaziale e cromatica alternativa alla piattezza disarmante della quotidianità e pronta a produrre gioioso stupore e curiosa meraviglia, senza elucubrazioni concettuali o concettose. Ci porta nella sua cromosfera, nel suo cromorama dagli ampi orizzonti immaginativi. Così, i suoi colori atomistici, nelle loro varie modulazioni volte a suggerire sentimenti sempre positivi, sembrano dare esistenza visiva alle raccomandazioni di Calvino: “Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. […] La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”. E non a caso, infatti, queste qualità – leggerezza, precisione e determinazione – fanno parte del DNA artistico di DOC che ha trovato nel suo essere autodidatta la possibilità di restare completamente libero ma, anche per questo, di mantenersi ancora più rigoroso.

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